P. Emanuele Boaga, O. Carm.
Nella riflessione di questi ultimi anni per il rinnovamento della vita
religiosa si è venuta accentuando sempre più negli Istituti clericali
l’attenzione alla vocazione carismatica del « fratello », ossia del religioso
non sacerdote. Quale contributo allo studio di questo importante tema offro,
nel presente convegno dedicato ad esso, le seguenti note che delineano
brevemente come si sia configurata e istituzionalizzata storicamente la figura
del « fratello », detto in passato « laico » e poi anche « converso »,
nell’Ordine Carmelitano, per poi presentarne i problemi e le esperienze
dell’aggiornamento con e dopo il Concilio Vaticano II.
Alle origini
L’origine dell’Ordine risale a un gruppo di eremiti latini che si
stabilirono - dopo la terza crociata (1192) - sul monte Carmelo, in Palestina,
ove eressero un eremo presso l’abbandonata laura bizantina del Wadi ain
es-Siah.
Nulla si conosce della condizione personale di questi
eremiti: se crociati o pellegrini, se nobili o plebei. Si sa solo che avevano
partecipato alle crociate per visitare la Terra Santa. Il gruppo all’inizio
presentava una forte caratterizzazione secondo la linea della conversione -
pellegrinaggio - eremitismo che si riscontrava nelle correnti laicali dei
secoli XII e XIII e nella spiritualità del cosiddetto pellegrinaggio in Terra
Santa. Erano, per usare un’espressione dell’epoca, un gruppo di laici « viventi
in santa penitenza ». La loro vita si svolgeva secondo la tipica esperienza
eremitica del tempo: solitudine, lettura della Bibbia, orazione,
contemplazione, lavoro manuale, digiuni, veglie e opere di misericordia.
A questo gruppo laicale S. Alberto, patriarca di
Gerusalemme, tra il 1206 e il 1214 diede una breve Regola, approvata in seguito
da Onorio III nel 1226 e più tardi, nel 1247, da Innocenzo IV.
Questa Regola non fa distinzione tra sacerdoti e non
sacerdoti: chiama tutti semplicemente « fratres » (fratelli). Alla guida della
comunità la parte più numerosa e matura elegge uno del gruppo (cap. I). La
preoccupazione per la vita d’insieme, nelle principali decisioni, era condivisa
da tutti; anche il bene spirituale dei fratelli è materia di comune
responsabilità e viene discusso insieme (cc. II, III, XI). Tutti prendono parte
al lavoro manuale (c. XV). Non esistono norme speciali o privilegi per i
sacerdoti.
L’unica distinzione che viene fatta nella Regola è tra
coloro che sanno leggere e quelli che non lo sanno fare. Nel capitolo VIII,
infatti, del testo primitivo, tra le
preghiere da dirsi in privato, si stabiliva il Salterio per coloro che erano capaci di leggere e la recita di un
certo numero di Pater in sostituzione
per gli altri. Nel 1247, con la correzione innocenziana della Regola, si ha
l’introduzione delle « ore canoniche ». Su questo testo si basano, con poco
senso storico, diversi autori per provare già nel 1247 l’esistenza dei due
gruppi, chierici e laici. Questa disposizione, invece, inquadrata nelle
consuetudini e nelle leggi del tempo, indica due cose. Prima di tutto l’impegno
del santificare le ore liturgiche è dovuto non allo stato religioso (cioè alla
classe clericale o no), ma alla capacità o meno di ognuno di recitare le ore
come facevano i « chierici » in genere nelle collegiate, e alle quali ufficiature
si prendeva parte in mancanza della chiesa propria. Inoltre vi è sottesa
un’altra cosa: una volta ottenuta la chiesa propria la disposizione indica pure
il senso di attività pastorale che assumeva nel proprio tempio la celebrazione
pubblica e corale delle ore canoniche.
La clericalizzazione dell’Ordine nel secolo
XIII
Con la diffusione in Europa dal 1235 in poi e sotto la
spinta di interventi pontifici nel 1229 e 1247, l’Ordine si inserisce nella
corrente dei Mendicanti. Ben presto in questo suo nuovo contesto si manifesta e
matura un processo di trasformazione istituzionale: la clericalizzazione
dell’Ordine medesimo.
Tale processo si presenta in modo analogo, anche se con
maggiore rapidità, di quanto avvenne per i Francescani, e subì pure le
influenze della legislazione domenicana (Ordine clericale fin dall’inizio).
I fattori che hanno determinato questo fenomeno sono da
individuare prima di tutto nella crescente importanza data alle comunità nei
centri urbani e al relativo impegno pastorale per assicurare il buon andamento
religioso e culturale dei fedeli nel cui ambiente si viveva. Così a coloro che
già entravano da sacerdoti nell’Ordine, si aggiungevano in crescendo i «
fratres » che richiedevano l’ordinazione sacerdotale. Altro fattore, era il
ministero, comune ai Mendicanti, della predicazione dottrinale, riservata ai
soli chierici fin da quando il divieto di Gregorio IX agli Umiliati (1228)
entrò nel Corpus iuris canonici con
valore assoluto di proibizione della predicazione laicale. Si può anche, ricordare
l’aumento continuo delle nuove leve di « letterati » tra i « fratres », con
spinta verso il sacerdozio e l’apertura agli studi e al mondo universitario, e
di conseguenza i problemi concreti suscitati dall’analfabetizzazione di una
parte dei « fratres » stessi.
Anche, se documenti del 1253 fanno supporre che ancora
non esista una vera divisione giuridica in classi di religiosi, i chierici e i
laici, ciò dovette avvenire ben presto.
Infatti, nelle costituzioni del 1281, le più antiche
finora conosciute, il gruppo dei chierici ha già una nettissima prevalenza
giuridica sul secondo, i laici. Quest’ultimi - secondo le disposizioni
costituzionali - vanno in coro con i chierici per mattutino, vespri e compieta
(non però per le altre ore canoniche); portando il vestito come i chierici ad
eccezione dell’almuzia o abito corale; prendono parte al capitolo conventuale,
settimanale con parità di diritti con i chierici; però non prendono parte al
capitolo quotidiano delle colpe dopo Terza, se non in determinate occasioni;
non prendono parte al capitolo provinciale e generale. Non possono i laici
studiare, ne avere libri in uso proprio e nemmeno portare la tonsura come i
chierici; devono però essere istruiti ed esercitati in qualche mestiere utile
all’Ordine e ad essi è affidata la cucina. Quattro volte l’anno è spiegata loro
la Regola in lingua volgare.
Pochi anni dopo, il capitolo generale di Treviri nel
1291, abbattendo l’ultimo segno della primitiva parità tra chierici e laici,
escluse quest’ultimi dall’esercizio della voce attiva e passiva. La
disposizione sancisce così la completa e definitiva clericalizzazione
dell’Ordine.
Per la completezza del quadro si deve ricordare che già
nella seconda metà del secolo XIII presso molti conventi appaiono forme di
oblazione di uomini e donne (i familiares,
i conversi e le converse, i manomessi e
le manomesse, i confratres ecc.). Subito dopo il Concilio di Vienne (1311-12) i conversi (la cui oblazione corrispondeva
alla professione religiosa dei tre voti) vennero a formare un terzo gruppo di
religiosi, che nelle costituzioni dell’epoca sono chiamati semifratres (e in qualche codice: servifratres).
Professavano i tre voti religiosi, ma avevano un abito
distino da quello dei chierici e laici, e in chiesa il loro posto era tra il coro
e le cappelle. Come i laici lavoravano nel servizio della comunità, dentro e
fuori le mura del convento, secondo le indicazioni del superiore. Col passare
del tempo il gruppo venne assimilato ai fratelli laici; da ciò ebbe origine
nell’Ordine l’uso del termine converso
per indicare il fratello laico.
La legislazione sui « fratelli » dal sec. XIV
al 1930
Dopo la disposizione del capitolo di Treviri e le norme
date per i laici sulla « precedenza » nelle costituzioni del 1294, si sentì il
bisogno di avere riorganizzata in modo più organico tutta la materia loro
spettante. Ciò fu fatto con le costituzioni del 1324, dedicando ai fratelli
laici e ai semifrati o conversi un intero capitolo (la « rubrica XXX »). In
questo testo, ripetendo le normative precedenti, viene chiaramente, delineata
la fisionomia del fratello laico: la sua caratteristica di vero religioso, la
sua distinzione dai chierici, la sua esclusione dalla voce attiva e passiva, il
suo lavoro compiuto con capacità e diligenza nel servizio della comunità, la
sua preghiera (ormai disancorata del tutto da quella dei chierici, eccetto che
la messa conventuale). Solo per i semifrati o conversi è stabilito un abito
diverso per distinguerli dagli altri frati (chierici e laici, che continuano a
indossare lo stesso abito).
La legislazione del 1324 viene ripetuta « ad litteram »
nei testi costituzionali del secolo XIV e giunge in pratica fino al secolo XIX.
Si può ricordare che nel secolo XV per il Nord Europa si ebbero delle norme
particolari circa l’abito dei laici, ma ben presto furono abolite. Notevole è
invece la disposizione fatta dal priore generale Nicolo Audet nel 1530 durante
la visita al convento di Parigi: l’istituzione di un « director conversorum »
che aveva l’incarico di curarne l’istruzione e la condotta.
Per mettersi in linea con le disposizioni postridentine,
specialmente sui requisiti per l’ammissione dei conversi e sulla necessità del
noviziato appositamente designato per loro, le costituzioni del 1625 rielaborarono
il testo riguardante i laici. Viene così fatto l’aggiornamento richiesto, ma
permangono i contenuti della legislazione precedente circa la fisionomia del
laico.
Un ulteriore aggiornamento ai decreti che la Santa Sede
continuava a rinnovare sull’età minima per la professione dei conversi e sulla
loro istruzione catechistica da farsi ogni domenica, veniva compiuto nel
capitolo generale del 1680 e poi con norme particolari durante il secolo XVIII.
Nelle costituzioni del 1904 si continuò a riportare la
sostanza della legislazione precedente, ammorbidendola però in alcuni dettagli.
Con l’avvento del Codice
di diritto canonico, le costituzioni vennero rinnovate completamente nel
1930. Il capitolo dedicato ai fratelli laici, detti conversi, era
caratterizzato da una profonda preoccupazione per la loro formazione religiosa
e spirituale, seguendo in questo le prescrizioni del diritto comune. Non
appariva invece una forte preoccupazione del significato della loro vita nella
Chiesa, anche se dichiaravano i laici veri e perfetti religiosi, da amare e
onorare da parte dei confratelli. Il loro stato perdura ad essere distinto da
quello dei sacerdoti e a loro è subordinato, con esclusione dalla voce attiva e
passiva.
A questa rinnovata legislazione si aggiunsero nel 1953
alcune norme emanate dal capitolo generale di quell’anno. In particolare: i
fratelli laici devono esser chiamati semplicemente « fratres » ad evitare il
senso discriminatorio dato alla designazione « laico » o « converso ». Viene
curata maggiormente la loro formazione sia nella fase preparatoria al noviziato
(postulandato), sia dopo. E’ pure data la possibilità di sostituire la
preghiera tradizionale dei Pater con
la recita del Piccolo Ufficio della Madonna. Di queste norme capitolari la
prima rimase praticamente lettera morta. La seconda portò nel 1959 ad
aggiornare le prescrizioni costituzionali per quanto riguardava il postulandato
e la formazione spirituale e tecnica dei fratelli di voti semplici. La terza
norma fu accolta da molti con gioia, e in alcune comunità i fratelli dicevano
tale ufficio comunitariamente.
L’aggiornamento dal 1965 ad oggi
Nel recente aggiornamento dal 1965 ad oggi la figura del fratello nella
famiglia carmelitana ha avuto un profondo cambiamento: dalla rivalutazione
della sua vocazione religiosa che, con i confratelli sacerdoti, lo rende
operante nella Chiesa e nell’Ordine, fino alla riscoperta - risalendo alle
origini dell’Ordine medesimo - della ispirazione laicale del carisma
carmelitano.
Nel capitolo generale del 1965, che segna l’inizio del rinnovamento
dell’Ordine, si prese atto del diffuso desiderio che venissero ancor più
sviluppati i vincoli fraterni all’interno della famiglia religiosa eliminando
il più possibile le conseguenze della discriminazione dovuta alle due classi di
religiosi, sacerdoti e laici. A livello normativo ci portò nei decreti
capitolari a sviluppare il discorso in tre direzioni:
a) una più completa formazione umana e spirituale che realmente sia intesa
ad una promozione dei fratelli laici;
b) forme di preghiera comunitaria più intense e più qualificate, tra cui la
partecipazione con i chierici alla Liturgia delle Ore;
c) una maggiore partecipazione, alla vita della comunità. In questa linea
circa l’esercizio della voce attiva e passiva si concesse alle Province di
determinarne l’esercizio per i laici in modo che gradualmente potessero
giungere al pieno diritto di tale esercizio, anche se la voce passiva era
limitata « ai soli uffici di cui sono capaci canonicamente ».
Raccogliendo l’indicazione del PC 15 nel capitolo
generale speciale e straordinario del 1968 si esplicito il principio generale
dell’accesso dei fratelli a] governo, anche se in pratica venivano poste le
limitazioni alle liriche di superiore e ad altre, eventualmente in uso presso
le Province. E’ da ricordare che nei decreti capitolari vi è ancora il capitolo
dedicato ai fratelli laici.
Successivamente, nel contesa del rinnovamento postconciliare dell’Ordine,
la riflessione sul ruolo della vita religiosa in sé stessa, il maggiore
apprezzamento della dignità della persona, e soprattutto la riscoperta -
risalendo alle origini - dell’ispirazione laicale del carisma carmelitano
determinano in pratica il superamento della divisione dei religiosi in due
classi. Nelle costituzioni ultime, quelle del 1971, non esisti un capitolo
dedicato ai fratelli laici, ma tutte le costituzioni si rivolgono ai « fratres
» indistintamente. L’Ordine è composto da frati anche se si ricorda che la
maggior parte di essi « riceve i sacri Ordini » (n. 17); in forza della
professione tutti i religiosi « godono di una fondamentale uguaglianza con i
medesimi diritti ed i medesimi obblighi sia comuni che particolari dell’Ordine,
fatta eccezione di quelli inerenti al sacerdozio o che competono
temporaneamente ad alcune persone a motivo dell’ufficio che hanno » (n. 19).
Ciò comporta la piena partecipazione e collaborazione di tutti i religiosi alla
vita comunitaria, alla preghiera liturgica e alle attività della comunità
stessa. La differenza nei servizi ecclesiastici (dovuta al sacerdozio, al
diaconato e ai ministeri) non condiziona minimamente l’esercizio di uffici
amministrativi e anche di governo a livello locale, provinciale e generale,
fatta eccezione dell’ufficio di superiore ai suindicati livelli. Eccezione
dovuta al noto e discusso decreto Clericalia
instituta della Congregazione dei Religiosi, emanato nel 1969.
Oggi nell’Ordine vi è una forte corrente che chiede
l’abolizione di questa limitazione posta dal ricordato decreto Clericalia instituta. La limitazione
viene interpretata da multi arbitraria nel collegare necessariamente il
sacerdozio al superiorato, e discriminante perché in pratica fa permanere
resistenza di religiosi « di seconda classe ». Questa limitazione, però, è
doveroso ricordare, non è assoluta: infatti proprio lo scorso anno (1981), con
permesso della Congregazione dei Religiosi si è potuto eleggere per la prima
volta come superiore di una comunità negli Stati Uniti un fratello.
In seguito all’andata in vigore delle Costituzioni del
1971 non sono mancate difficoltà di ordine pratico, dovute principalmente alla
formazione data in passato e al
mutamento richiesto di mentalità soprattutto nelle vecchie generazioni. Altre
difficoltà sono sorte in alcuni casi per l’inserimento di fratelli nel quadro
della ristrutturazione delle opere. Vari sono stati i modi con cui si è cercato
di risolvere dette difficoltà. Un notevole apporto è stato dato anche
dall’esperienza, condotta in Italia per alcuni anni, di incontri a livello
nazionale dedicati ai fratelli per la riflessione e la discussione dei problemi
comuni nella nuova situazione, favorendo al tempo stesso una maturazione di
mentalità.
Un accenno va fatto - prima di concludere - a due
questioni, sorte in questi ultimi anni: il diaconato permanente e il passaggio
di fratelli al sacerdozio.
Il diaconato permanente, introdotto nell’Ordine già nel
1974 dietro pressione di una esigua corrente, non costituisce un problema. I
diaconi permanenti oggi nell’Ordine sono tre (su un totale di 406 religiosi non
sacerdoti, dei quali 239 sono i fratelli). La ordinazione diaconale ha assunto
l’aspetto non di promozione sociale, ma di ministero apostolico nella vigna del
Signore. Al diaconato si è preferita l’apertura ai ministeri del lettorato,
dell’accolitato e della distribuzione dell’Eucaristia. Anche se mancano dati
statistici precisi, il fenomeno appare abbastanza presente soprattutto nei
paesi latini.
Nei paesi anglosassoni, invece, si sono registrati molti
casi in questi ultimi tempi, di passaggio di fratelli al sacerdozio.
L’esperienza indica che esistono al riguardo dei problemi, non solo di
adattamento alla nuova situazione, ma anche il pericolo di cadere in una
malintesa promozione dei fratelli stessi. Purtroppo su questo aspetto non è
stato fatto ancora una riflessione valutativa come meriterebbe.
In un recente documento
dell’Ordine si legge: « ...Abbiamo finora costituito più un Ordine di padri che di frati, ossia fratelli. Se la Regola ci chiama tutti ugualmente fratres, senza alcuna distinzione, non
devono esistere tra di noi differenze di stato, ma sono concepibili soltanto
varietà di funzioni e compiti ».
Nella comprensione e nel
rispetto reciproco di queste diverse funzioni il cammino della fraternità nella
famiglia carmelitana vuol portare ad essere sempre più intensa e viva
l’uguaglianza evangelica, proclamata con la propria vita religiosa, dono dello
Spirito.
Nota
Le fonti usate per questo studio
sull’origine e sviluppo della figura del fratello nella famiglia carmelitana si
trovano in: Monumenta historica
carmelitana, Lirinae 1907; Acta
capitulorum generalium Ordinis Fratrum B.V. Marine de Monte Carmelo, 2 v.,
Romae 1912-34; Bullarium carmelitanum,
4 v., Romae 1715-68; Analecta Ordinis
Carmelitarum III, 156; XV, 205-245; XVI 123-185; 308; XXIV, suppl. fasc.
6-8; XXVII, 1-164; XXIX, 1-88; Constitutiones
Ordinis Fratrum B. Virginis Mariae de Monte Carmelo, Romae 1971. Si sono
anche utilizzati i seguenti studi: J. smet, The origin of the Carmelite Laybrothers, in The Sword 5 (1942) 121-137; E. frIfdman,
The latin hermits of mount Carmel:
A study in Carmelite origins, Roma 1979; C. cicconetti, La Regola del
Carmelo: origine, natura, significato, Roma 1973.
[1] In IL FRATELLO RELIGIOSO NELLA COMUNITA’
ECCLESIALE OGGI – Atti del Iº Convegno
Intercongregazionale, Roma 18-23 aprile 1982 – “La vocazione religiosa del
Fratello negli istituti clericali”, a cura di P. Fernando Taccone, Edizioni
CIPI Roma 1983, pp. 141-150.
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